Errare Umanum Est

Entrare in un carcere è spaventoso, ho il terrore, ho visto troppi film riguardanti la galera, chi si uccide per soldi, chi ha dispute interne, mi aspetto di tutto: sono agitata. Sono entrata, mi guardo intorno, è solo un teatro, con cui quelli con le magliette da superman tengano sotto controllo i carcerati? Non ne ho idea, non mi sembrano poi tanto cattivi. Sono seduta, avvisano di un controllo, mi viene quel momento d’ansia che si ha anche quando non si è fatto nulla, ma poi salgono gli attori, lo stupore nello scoprire che sono loro i carcerati. Inizia una storia, la storia di una persona, che nonostante sia stata presa dalla polizia, crede ancora, crede nelle persone, nell’amore e nella storia che lo rappresenta, quella di Bottom, forse è così che ci si sente a cercare di non perdere la propria umanità, forse è così che ci si sente per uno stupido errore. Lo spettacolo prosegue, dei ragazzi della nostra età salgono sul palco e ci dimostrano come sia facile finire in galera, chissà, magari un giorno ci finirò anche io, forse perché sarò sulla cattiva strada, forse perché non saprò tutte le piccolezze che si nascondono nel codice penale e civile, perché un giorno potrei fare di tutto o semplicemente trovarmi in mezzo ai casini per qualcuno che mi ha tirato in ballo. Possiamo errare, anzi dobbiamo errare, io devo poter errare in qualsiasi ambito, anche solo nell’atteggiamento verso una persona più grande di me, anche solo in amore, ma c’è sempre una linea talmente piccola e trasparente che però non va oltrepassata, alla quale non ci si deve minimamente avvicinare, questa linea però è difficile da notare se ti rendi miope con l’occhio della mente, ed è probabilmente in questo modo che Erica e Omar hanno saltato di un metro in là la corda, forse perché accecati dall’”amore” per l’altro, forse perché troppo impegnati nel compimento di quel passo per accorgersene. Adesso ci raccontano la loro vita lì, la vita in prigione non è facile, non è vita, ho visto quasi piangere persone nel parlare dei propri cari, persone che a guardarle sembra non abbiano mai fatto nulla di male, perché stare lontani da casa per anni non è facile neanche da adulti, figurarsi se si è minorenni, se ci si trova in carcere, se si possono fare poche chiamate, se una volta ogni tanto si può mandare una lettera, alla quale puoi ricevere risposta solo dopo tanti mesi e in particolar modo se si può essere spostati da un momento all’altro in un ulteriore carcere, senza alcun preavviso. Lo spettacolo è finito, tutti sono in fermento, iniziano le domande verso i vari attori, un ragazzo chiede: “Le celle sono come quelle nei film?” e questa domanda mi riporta alla realtà, da uno spettacolo qualunque mi ero trovata improvvisamente in carcere, le stanze erano spoglie, quattro letti impolveriti sono in questa stanza che si fa sempre più soffocante, sempre più piccola, un mazzo di carte in un angolo, io seduta sul letto e i miei compagni di stanza che si parlano come nulla fosse, mentre ho lo sguardo vuoto, svuotato da questo spazio chiamato prigione. Sono ormai fuori, sta piovendo, l’acqua mi scivola addosso come a volermi passare un po’ della tristezza di tutte quelle persone rimaste lì da non so quanto tempo, per un qualche motivo a me ignoto; ma poi guardo il cielo e mi rendo conto di sorridere, sono felice di questa pioggia, sono felice di poter passeggiare con questo scroscio e di essere libera, libera da tutto e da tutti, libera dai sentimenti frustranti e inquieti che mi arrivavano al solo pensiero di quel posto senza veli, al pensiero di quel posto con forse persone finite lì per sbaglio o perché la giustizia è ingiusta, o forse perché si ritiene sia quello il loro posto, ma in qualunque caso “errare umanem est” e così deve rimanere.

(Francesca 3°C)

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